Repubblica. In un primo momento, anzi, la posizione di Casa Savoia — a dispetto delle sue pesanti
compromissioni con il regime mussoliniano — appare perfino rinforzata grazie al ruolo decisivo
svolto da Vittorio Emanuele III nell'eliminazione della dittatura. E lo dimostra il fatto che, durante
quella notte dopo che l'ultimo giornale radio ha dato, poco prima delle ventitré, la notizia delle
dimissioni del "cavalier Benito Mussolini" e della sua sostituzione con il "maresciallo d'Italia Pietro
Badoglio", molte migliaia di persone escono per le strade di Roma per raccogliersi sulla piazza del
Quirinale, ad applaudire il re (che fa una breve apparizione sul balcone).
La situazione cambia radicalmente un mese e mezzo più tardi. La fuga da Roma dell'intera
famiglia reale e di Badoglio, la sera dell'8 settembre, subito dopo l'improvviso annuncio da parte
alleata della firma dell'armistizio con gli Stati Uniti e l'Inghilterra (cioè il fatto che coloro che
incarnavano la continuità dello Stato, preoccupati unicamente di mettere in salvo se stessi, abbiano
abbandonato la capitale, senza lasciare dietro di loro un'autorità capace di rappresentare il potere
legittimo e di coordinare la resistenza contro i tedeschi), crea, sia politicamente che emotivamente,
un fatto nuovo, che si riflette già nelle prime due riunioni del CLN (il Gomitato di liberazione
nazionale, formato dai sei principali partiti antifascisti: Democrazia cristiana, comunisti, socialisti,
liberali, Partito d'azione e Partito democratico del lavoro): nel corso delle quali i rappresentanti
azionisti, sostenuti da una parte dei socialisti, cercano di far approvare dai loro colleghi una
dichiarazione di "decadenza della monarchia".
Impostazione che, tuttavia, non prevale, per l'opposizione non solo delle correnti più
conservatrici, ma anche della DC e dello stesso PCI (Partito comunista italiano): convinti che una
simile dichiarazione, oltre a scontrarsi con l'orientamento degli alleati (in primo luogo degli inglesi),
avrebbe superato i limiti di azione da parte di un potere di fatto quale il CLN, e sul piano pratico
avrebbe diviso il fronte antifascista, e ridotto la sua capacità di lotta contro i tedeschi.
Quello che in tal modo si sviluppa è un quadro confuso. In tutta l'Italia centrosettentrionale la
Resistenza ha come punto di riferimento il CLN, che ha accantonato il problema istituzionale, ma
appare, nella grande maggioranza, favorevole ad una soluzione repubblicana. Mentre nelle regioni
meridionali, liberate dagli anglo-americani, esiste un governo monarchico, indebolito però non solo
dai poteri molto ridotti che gli vengono riconosciuti dalle autorità occupanti ma anche dalla sua
scarsissima rappresentatività. Del resto, tutti i partiti antifascisti (anche i più moderati) subordinano
ogni progetto di collaborazione governativa all'abdicazione del re che ha contribuito all'ascesa di
Mussolini.
Questa situazione di stallo viene sbloccata da due avvenimenti. Il primo dei quali, in ordine di
tempo, è l'accordo che alla fine del febbraio del 1944 viene raggiunto tra l'esponente prefascista (e
futuro primo presidente della nuova Repubblica) Enrico De Nicola e la Corona. Un compromesso
che prevede il ritiro definitivo dalla scena politica (ma non l'abdicazione) di Vittorio Emanuele III
nel momento — che appare ormai imminente — della liberazione di Roma, e il trasferimento dei
suoi poteri a un "luogotenente del regno" nella persona del figlio Umberto. Il secondo è l'arrivo a
Napoli un mese più tardi, esattamente il 27 marzo, dal suo lungo
esilio in Unione Sovietica, del capo del PCI, Ercole Ercoli: vale a dire, Palmiro Togliatti.
Tornato in Italia dopo quasi vent' anni, Togliatti modifica profondamene le precedenti linee
direttive del suo partito (e sconvolge l'impostazione generale dei partiti del fronte antifascista) con
una dichiarazione del 1 aprile 1944, in cui precisa che i comunisti italiani, senza porre alcun' altra
condizione, sono pronti a partecipare ad un esecutivo che sia capace di concentrare tutti gli sforzi
nella lotta contro il nazismo. Spiazzati da questa iniziativa, tutti gli altri partiti rinunciano alle loro
precedenti pregiudiziali. E si giunge, così, il 22 aprile 1944, ad un governo — che, presieduto da
Pietro Badoglio, giura nelle mani di Vittorio Emanuele III — composto da tutti e sei i partiti del
CLN.
A questa soluzione ha contribuito anche, in maniera determinante, il fatto che l'accordo tra
De Nicola ed i Savoia, che in un primo momento era rimasto segreto, era stato nel frattempo
conosciuto. Esso acquista, tuttavia, carattere pienamente ufficiale solo dopo la liberazione di Roma.
Entrati gli alleati nella capitale, nella serata del 4 giugno, Vittorio Emanuele III si mette quindi
immediatamente da parte, ed è il luogotenente che, su indicazione dei sei partiti antifascisti, dá
l'incarico di formare il nuovo governo a Ivanoe Bonomi, presidente del CLN nazionale. Inoltre, per la
prima volta, i ministri, al momento di assumere l'incarico, non giurano più fedeltà alla Corona, ma si