guerra finisca e il tenente possa invitarci a casa sua, in Germania ». Il tenente non diceva nulla, non
sorrise neppure ; e io pensai che non sapesse la nostra lingua e non avesse capito. Ma poi, ad un
tratto, disse in buon italiano : « Grazie, non bevo aperitivi» alla madre che con voce lamentosa gli
offriva un vermut. E capii allora, non so perché, che lui non sorrideva perché, per qualche suo
motivo, ce l'aveva con l'avvocato.
Intanto la madre dell'avvocato, spaurita, tremante, apprensiva andava e veniva dalla cucina
portando i piatti con le due mani, manco fossero stati il Sacramento. Mise in tavola dell'affettato,
salame e prosciutto, del pane a cassetta tedesco, proprio quello che noi stavamo cercando e poi una
minestra di vero brodo, con i tagliolini e, alla fine, un grosso pollo lesso con un contorno di sottaceti.
Mise anche in tavola una bottiglia divino rosso, di buona qualità. Si vedeva che l'avvocato e sua
madre avevano fatto uno sforzo per quel giovanottello tedesco il quale, adesso, con la sua batteria,
era loro vicino e perciò gli conveniva tenerselo buono. Ma il tenente ci aveva davvero un brutto
carattere perché, per prima cosa, indicò il pane a cassetta e domandò : « Potrei chiederle, signor
avvocato, come ha fatto lei a procurarsi questo pane?». L'avvocato, che sedeva tutto accappottato
come se ci avesse avuto la febbre alta, rispose, con voce esitante e scherzosa : « Beh, un regalo, un
soldato l'ha regalato a noi e noi abbiamo fatto un regalo a lui... si sa, in tempo di guerra...»; «Uno
scambio — disse l'altro, spieiato — è proibito... e chi era questo soldato?» «Eh, eh, tenente, si dicé il
peccato e non il peccatore... provi questo prosciutto, questo non è tedesco, è nostrano». Il tenente non
disse nulla e incominciò a mangiare il prosciutto. Dopo l'avvocato, il tenente rivolse ad un tratto la
sua attenzione verso Michele. Gli domandò, così a bruciapelo, quale fosse la sua professione; e
Michele rispose senza esitare che era professore e insegnava. «Insegnante di che?». « Di letteratura
italiana». II tenente, con meraviglia dell'avvocato, disse allora tranquillamente : « Conosco la vostra
letteratura... ho persino tradotto in tedesco un romanzo italiano». «Quale?». II tenente disse il nome
dell'autore e il titolo, ora non ricòrdo né l'uno né altro ; e potei vedere che Michele, il quale fin' allora
non aveva mostrato alcun interesse per il tenente, adesso pareva incuriosito ; e che l'avvocato,
vedendo che il tenente parlava a Michele quasi con una specie di considerazione, come da pari a pari,
aveva cambiato anche lui di atteggiamento : pareva contento di aver Michele a tavola, arrivò persino
a dire al tenente : « Eh, il nostro Festa è un letterato... un letterato di valore », battendogli una mano
sulla spalla. Ma il tenente sembrava farsi un punto d'onore nel non occuparsi dell'avvocato, che pure
era il padrone di casa e l'aveva invitato. E proseguì, rivolto a Michele : « Sono vissuto per due anni a
Roma e ho studiato la vostra lingua... personalmente mi occupò di filosofia ». L'avvocato cercò di
intrufolarsi nella conversazione dicendo, scherzoso : « Allora lei capirà perché noialtri italiani
prendiamo tutto quello che ci è successo in questi ultimi tempi, con folosofta... eh, eh, già, appunto,
con filosofia...» Ma ancora una volta il tenente neppure lo guardò. Adesso parlava fitto fitto con
Michele, facendo una quantità di nomi di scrittori e di titoli di libri, si vedeva che conosceva bene la
letteratura e mi accorgevo che Michele, quasi suo malgrado e come con avarizia, pian piano cedeva
ad un sentimento se non proprio di stima, per lo meno di curiosità. Andarono avanti così per un poco
e poi, non so come, si venne a parlare della guerra e di quello che può essere la guerra per un uomo
di lettere o un filosofo ; e il tenente, dopo aver osservato che era un'esperienza importante, anzi
necessaria, se ne venne fuori con questa frase: «Ma la sensazione più nuova e anche più estetica»,
ripeto questa parola «estetica»; sebbene sul momento non la capissi, perché tutta quella frase mi è
rima-sta impressa nella memoria come con il fuoco, «l'ho provata durante la campagna dei Balcani e
sa lei, signor professore, in che modo? Ripulendo una caverna piena di soldati nemici con il
lanciafiamme». Questa frase l'aveva appena proferita che rimanemmo tutti e quattro, Rosetta, io,
l'avvocato e sua madre, come di sasso. Dopo ho pensato che forse era una vanteria e ho sperato che
non l'avesse mai fatto e non fosse vero : aveva bevuto qualche bicchiere di vino, il viso gli si era
arrossato e gli occhi erano un po' lustri; ma lì per lì sentii il mio cuore sprofondare e mi gelai tutta.
Guardai gli altri. Rosetta teneva gli occhi bassi ; la madre dell'avvocato, dal nervoso, rimetteva a
posto, con mani tremanti, una piega della tovaglia ; l'avvocato aveva fatto come la tartaruga, si era
ritirato con la testa dentro il cappotto. Soltanto Michele guardava al tenente con occhi spalancati ;
quindi disse : « Interessante, non c'è che dire, interessante... e ancor più nuova ed estetica, suppongo,
sarà la sensazione dell'aviatore che sgancia le sue bombe su un villaggio, e, dopo che è passato, dove
c'erano le case non c'è più che una macchia di polvere ». II tenente, però, non era così scemo da non
accorgersi che la frase di Michele era ironica. Disse, dopo un momento : « La guerra è un'esperienza