schetto e l’altro assieme a felci edera festuca capelvenere anemoni cam-
panule ortiche garofanini rosa rododendri nani violette fragole lamponi
misto bosco senza gelato papenzoli genziane sassifraghe fedifraghe e un
sempreverde morto secco. Piccoli sentieri si inoltrano tra le piante e un
venticello porta il profumo dell’erba tagliata. È come passeggiare dentro
un immenso albero di cui non si percepisce l’esterno un albero grande
quanto la collina con foglie di ogni forma e di tanti verdi diversi.
Raggi di sole come laser dorati passano tra i rami con linee rette si
accendono e spariscono a caso secondo i movimenti delle foglie. Oppure
si fermano un secondo a segnalare un bel ramo secco di betulla sdraiato
sulle felci tra l’edera o vicino a qualche pietra coperta di muschio.
E prima che la lumaca attraversi il sentiero raccoglierò qualche ramo
per il mio laboratorio all’aperto dove con un seghetto giapponese sotti-
lissimo e taglientissimo taglierò via quelle parti del ramo che non ser-
vono allo scopo.
Faccio così una prima scelta di questi rami diversi di questi segni
solidi campati in aria cresciuti al canto delle cicale e tra l’indifferenza
delle formiche seccati dal sole e bagnati dalla luna. Per lungo tempo li
osserverò senza toccarli.
Poi proverò a fare qualche accostamento con pezzi di rami dello
stesso albero o con pezzi di alberi diversi. Devono poter stare assieme
senza toccarsi appoggiandosi ai fili di tensione. I fili saranno bianchi di
cotone o lino grezzo niente interventi di colore. L’insieme dei fili in ten-
sione mostrerà la natura geometrica dei rapporti di forza le parti in com-
pressione si comporteranno con molta naturalezza quasi con indiffe-
renza. Nasce così un corpo unico solido formato da due forze opposte
dove gli elementi in compressione stanno solidamente assieme senza
toccarsi tra loro.
E così, senza attrezzi speciali senza aiuti manuali senza un progetto
ben definito anche nei particolari senza pensare perché lo faccio e a cosa
servirà senza alcuna ragione accessibile a gente pratica comincio ad an-
nodare un filo bianco ad una estremità di un ramo poi ancora finché
due fili restano solidamente tesi quindi appoggio sul filo teso l’estremità
di un altro ramo e lo tengo in modo che i rami non si tocchino e mentre
ne lego uno l’altro si slega. Con molta pazienza imparando la tecnica
mentre opero e senza sapere prima che cosa verrà fuori dopo mi trovo
ad un certo punto ad avere davanti a me con grande sorpresa un oggetto
solido che prima non c’era.
Qualcuno dentro di me mi dice che va bene così. L’oggetto è com-
piuto e forse ancora manca qualche filo per rendere la struttura più so-
lida e qualche filo lo metterò per ragioni estetiche. Guardo l’oggetto
finito come se lo avessi trovato già fatto non so da chi. Mi sento l’esecu-
tore di un progetto che stava nell’aria sulla cima di Monte Olimpino tra
il vento le nuvole gli alberi il sole le galline. Un’attività affascinante si
sente un grillo lontano nel gran silenzio vicino a Chiasso.
Tensione e compressione
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