“tornare a farsi fotografare”, spiega Michèle Battista, che guida il pro-
getto Espace Arthur, “significa fare un grande passo avanti: per un ano-
ressico è difficile accettare la propria immagine riflessa in uno specchio”.
L’Espace Arthur è uno spazio unico nel suo genere in Francia e forse
nel mondo. Che ha suscitato, come accennato, diverse polemiche. L’in-
dustria della moda è stata da più parti condannata per il suo ruolo di
incoraggiamento nella nascita e diffusione dell’anoressia. Il governo
spagnolo lo scorso anno ha persino vagheggiato l’idea di abolire le pub-
blicità che presentassero modelle sottopeso.
Le 12 teenagers cui il progetto Espace Arthur è attualmente rivolto
svolgono diverse attività, dal jogging ai corsi di ceramica e pittura. L’ora
di trucco è tenuta da un’estetista una volta la settimana. I vestiti per le
sfilate-terapie sono spesso presi in prestito da una specie di biblioteca
della moda fondata dall’Institut Mode Méditerranée.
Ma che significa truccarsi e provare abiti per ragazze che di queste at-
tività si sono ammalate? “Queste sono solo alcune delle cose che fanno
tra le altre”, spiega la professoressa Battista, “ma in un certo senso ne
rappresentano il culmine: chiediamo loro in questo modo di tornare a
fare i conti coi loro corpi e quindi con se stessi. C’è una ragazza, tra noi,
che si vestiva come una scolara, camicia bianca e gonna alla marinara.
Solo così si sentiva adeguata ai desideri dei suoi genitori. Da quando è
qui è cambiata: si veste solo come lei si sente d’essere”.
Dietro tutto ciò, una filosofia. Quella dello psichiatra infantile Marcel
Rufo: la malattia isola ed esclude la gente. “La nostra idea è di creare
uno spazio che rompa l’isolamento e le barriere”, spiega la Battista. Al-
l’Espace Arthur ci sono tutti gli strumenti e l’assistenza medica di un
normale ospedale, ma anche un’atmosfera che somiglia a quella del
mondo esterno. “Il nostro obiettivo è di portare il fuori dentro”, conti-
nua la Battista. Compresi i vestiti. “Quando per strada vedi un gruppo di
ragazzi tutti vestono allo stesso modo, stessi codici segnici e stesso look.
Qui invitiamo i ragazzi a uscire dall’anonimato e a sviluppare una pro-
pria identità”.
Molti dei ragazzi che arrivano all’Espace Arthur hanno vissuto o vi-
vono un profondo conflitto coi propri genitori. Alcuni hanno tentato il
suicidio. Altri provengono da così profonde depressioni che lo stare a
letto è stata a lungo la loro unica posizione vitale. Riducendosi in molti
casi a spettri. “Dico loro che essere presentabili fa stare meglio”, racconta
la Battista. “L’apparenza è il primo contatto che si ha con gli altri: come
ci si mostra, mostra quel che si sente e prova”. Julie lo sta capendo, rac-
contano all’Espace Arthur. Non si nasconde più davanti all’obiettivo
della macchina fotografica. Si espone, persino: “Ditelo che la maglietta
che indosso è mia”.
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Costume e società